Direzione Comunale PD Forlì – Conferenza delle donne democratiche

Dipende da noi

Posto “La linea rossa” di Concita De Gregorio pubblicata ieri su “L’Unità”.

Mi sono sempre sentita in grande sintonia con la De Gregorio che leggevo prima su Repubblica e ora su “L’Unità”.

Perchè spesso in questi mesi nei momenti difficili del nostro Paese ho trovato che lei riusciva ad esprimere con parole decise ma non gridate quello che anch’io pensavo.

Ho conservato il suo primo editoriale dello scorso agosto che conclude così: “C’è bisogno di voi. Di tutti, uno per uno. Non ci si può tirare indietro adesso, non si deve. E’ questa la nostra storia, questo è il nostro posto.”

Mi hanno sempre dato fastidio quelli che si lamentano e basta (“Piove, governo ladro”) senza mai impegnarsi in prima persona per cambiare le cose di cui si lamentano.

Per tanti anni, ho fatto le mie piccole battaglie da sola o quasi.

E poi ho trovato nel PD il luogo in cui non ero più una solitaria ostinata rompiscatole, il luogo dove tante altre persone hanno ancora a cuore un futuro che vada oltre la finale del Grande Fratello e pensano che l’Italia possa diventare un paese civile e riformista.

Quest’anno è stato un alternarsi di alti e bassi: la campagna per le politiche con il viaggio per l’Italia di Veltroni e poi la sconfitta cocente di aprile; la fantastica esperienza delle primarie e l’emozione del Circo Massimo.

E poi la doccia fredda: le dimissioni di Veltroni e la precipitosa convocazione dell’Assemblea Nazionale. Non sapevo bene cosa pensare.

La “pancia” diceva di mandare a … casa tutti i dirigenti e di tornare a far decidere gli unici che forse hanno veramente voluto il PD, i milioni che andarono a votare il 14 ottobre.

Ma il buon senso suggeriva che questo avrebbe provocato l’ennesimo scontro personale tra tizio e caio senza che ci fosse realmente la volontà di salvare l’idea del PD.

E in questo articolo ritrovo il disincanto della consapevolezza di come siamo riusciti a farci del male da soli, ma anche l’altrettanto lucida consapevolezza che solo noi ci possiamo tirare fuori da questo pasticcio. Perchè il fallimento del progetto del Partito Democratico consegnerebbe per molti anni ancora il nostro futuro nelle mani della destra berlusconiana con tutto il suo carico di intolleranza, superficialità, ipocrisia ed egoismo. E non è questo il futuro che voglio per mia figlia.

E quindi sottoscrivo in toto la conclusione “Non dipende solo da noi, è vero. Sempre, però, dipende anche da noi.”

 

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Prima di parlare di Dario Franceschini vorrei fare ad alta voce un paio di domande. La prima prevede un’osservazione preliminare.

Non c’è nessun dubbio, nessuno, che la base del partito (gli iscritti, pochi, i simpatizzanti, molti, gli elettori, diversi milioni) preferisse le primarie. Trasformare la crisi in un’opportunità.

Anche i giovani dirigenti del Pd, a maggioranza, lo chiedevano. Dodici di loro – tra i 25 e i 45 anni, 45 è già l’età della presbiopia ma in Italia sono giovani – sono stati qui al giornale per un Forum. In dieci hanno chiesto le primarie, congresso subito. Ieri all’Assemblea c’erano presidenti di circoli che depositavano sul tavolo di Anna Finocchiaro raccolte di firme.

Se qualcuno avesse un dubbio e un computer può fare un istruttivo giro tra i blog, nei commenti

lasciati dai lettori dell’Unità. Il più educato rimprovera Bersani per non essersi candidato, “furbo aspettare l’autunno, comodo lasciare ad altri il compito di andare alla sconfitta anziché provare ad evitarla. Per poi cosa, dopo: per dire col dito alzato l’avevo detto?”.

Sì: il popolo del web è radicale. È vero: la base è umorale. Però è la base, sono i dodici milioni di “patrimonio inestimabile”. Allora la domanda è: una classe dirigente che voglia “radicare il partito sul territorio e ascoltare le domande che salgono dal paese”, come diceva bene ieri Piero Fassino, come pensa di farlo se ignora la prima e la più forte delle richieste? Il vizio – la presunzione – di pensare che gli elettori siano stolti, che siano da indirizzare secondo logiche che non possono capire porta lontanissimi dal consenso, per usare una categoria più interessante porta lontano dalle radici della democrazia. Lo dicono a destra la Lega, ormai padrona nelle fabbriche del Nord, lo dice Di Pietro.

A meno che, ipotesi B, il piano occulto non sia quello di fingere di salvare il salvabile per andare al minimo storico, invece, a un risultato elettorale che giustifichi l’azzeramento del progetto, consumi

definitive vendette personali e rimetta in gioco prospettive archiviate.

La seconda domanda, di fronte a una platea dimezzata, è dove fossero i 1300 delegati mancanti, ieri. Siccome i paladini della prudenza e della pur legittima convenienza che hanno scelto per un segretario subito erano tutti lì, 80 contro 20 il risultato, il sospetto è che quelli che volevano le primarie siano rimasti a casa. Perché avevano altro da fare, perché è più facile dire state sbagliando  che mettersi in gioco. Se fosse così ha ragione chi ha deciso per loro. Se non fosse così ha ragione lo stesso: la maggioranza è questa. Dario Franceschini nasce dc, certo, il suo maestro è Zaccagnini.

Un uomo di nome Benigno, che auspicio raro.

Ha fatto un bel discorso, ieri. Onesto, pulito. Il gruppo Pd andrà alle europee poi proverà a costituire un gruppo di “Socialisti e democratici “. Ce la farà? Non lo sappiamo. “Non dipende solo da noi”, ha detto. È vero. Però dipende anche da noi. Veltroni se ne è andato, c’è chi ha pensato di lasciare a Franceschini la croce.

Vai avanti tu, eccetera. Però ride bene chi ride ultimo, recita un altro detto. Azzardo: lo sottovalutano.

A ottobre mancano otto mesi, una gestazione. Potrebbe portare alla luce il “volto nuovo” che i sondaggi reclamano. Potrebbe farsi avanti da solo, il nuovo, senza bisogno di baciare pantofole. Potrebbe essere già qui solo che non lo vediamo. Non dipende solo da noi, è vero. Sempre, però, dipende anche da noi.

Concita De Gregorio  – L’Unità – 22/2/2009

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